Dobbiamo prendere sul serio il fallimento. Basta con il culto del successo, con le storie di persone che ce l'hanno fatta, con l'idea che siamo tutti destinati a grandi cose. "Pare non ci sia niente di peggio al mondo che fallire – la malattia, la sfortuna, persino la nostra stupidità congenita sono nulla al confronto. Eppure il fallimento merita di più." Da qui inizia la lunga esplorazione di Costica Bradatan tra i meandri della fallibilità umana. "Siamo, a tutti gli effetti, quasi niente." Ciò che facciamo nella vita – che ne siamo consapevoli o meno – è un tentativo di affrontare il malessere che nasce quando comprendiamo la nostra condizione di prossimità al nulla. Non possiamo far finta di non sapere che quel lampo di luce che è la nostra vita esiste tra due istanti di tenebra e che ciò che ha avuto inizio è destinato a una fine. Bradatan analizza i diversi ambiti del fallimento: fisico, politico, sociale e biologico. Nel corso della storia vari pensatori si sono allontanati dalla spinta ossessiva verso il successo mondano per fare i conti con la disfatta, ed è proprio da loro che il filosofo inizia il suo elogio. Simone Weil mal tollerava le storie felici e si sentiva sempre "fuori posto". Il Mahatma Gandhi ricordava sempre a se stesso: "Posso imparare solo quando inciampo e cado e sento il dolore". Emil Cioran considerava l'inazione l'unica risposta logica a un'esistenza priva di senso. Bradatan non mira mai a insegnarci come "fallire meglio", ma piuttosto a pensare che il fallimento fa parte della natura umana e solo affrontarlo costantemente ci permetterà di vivere una vita più significativa attraverso la via dell'umiltà.